FRATI MINORI

Per essere frate minore per prima cosa si ha bisogno di idee chiare.
Frate minore non è una professione “io faccio il frate”. E’ il frutto di una chiamata e quindi, quando si ragiona ed agisce per far carriera, per comandare, per stare sopra, allora non si è frate minore.
Questo è il primo punto necessario. Appena mi accorgo che faccio qualcosa per diventare qualcuno, vuol dire che ho sbagliato strada.
Il frate minore fa qualcosa perchè crede che quel qualcosa sia la risposta alla chiamata.

Se ti manca il senso della chiamata, il riferimento all’Alto, in quel che sei e fai, allora vuol dire che non sei frate minore.
Si fa presto a capire se sei o non sei frate minore: se sei invidioso, geloso, arrivista (c’è una ammonizione di San Francesco a riguardo) non sei frate minore. Non cè bisogno che qualcuno te lo dica. Quando sei in contrasto oppure non ami veramente sino a “metterti dopo” il tuo fratello, allora non sei frate minore.

Se invece ti accorgi subito delle belle qualità del tuo fratello e le apprezzi, allora si che sei frate minore. E se accogli il giorno come te lo manda il  Signore interagendo con la sua grazia, allora sei frate minore.
La quantità delle preghiere non ti fanno frate minore. Ti ci fa la sincerità ed il fatto che, dopo essere stato con Dio, sai stare con i fratelli. Parlare molto di fraternità non ti fa frate minore.

Essere attento a quel che pensano e desiderano i tuoi fratelloi, anche quando usano un linguaggio che ti sembra poco spirituale, questo ti fa frate minore.
San Francesco ha dato due modi per riconoscere un frate minore e le chiamate “rivelazioni”, nel suo testamento.

La prima è che dovessi vivere a norma del “Santo Vangelo”. Cioè come gli apostoli.

La seconda è “che dicessi questo saluto: Il Signore ti dia pace”. Cioè che il mio operare fosse quello di abbattitore di mura d’inimicizia. Il frate minore che non operasse, ovunque nel proprio campo di lavoro, in modo da togliere le conflittualità, non sarebbe frate minore.
Così è scritto e non lo si può cambiare.

Una educazione non parte dai fatti, non costituisce il frate minore. I convegni, gli incontri nazionali ed internazionali, i capitoli spirituali, e gli stessi esercizi spirituali non costruiscono il frate minore se manca l’operare di ogni giorno. La catechesi di Matteo porta le Beatitudini subito al quinto capitolo. Sembra voglia sottolineare che le Beatitudini non sono punto di arrivo, ma punto di partenza.
Io educo il frate minore facendolo vivere a norma del santo Vangelo, con le ristrettezze degli apostoli, le ansie degli apostoli, i ritiri degli apostoli, le fatische degli apostoli.

Il frate minore comincia così: subito si rimbocca le maniche ed eseque quel che vede scritto nel vangelo; solo dopo, se ne avrà bisogno, chiederà la spiegazione a santa madre Chiesa. Così è la spirtualità di Francesco. Se leggi bene i suoi scritti, ti accorgi che hanno questo paragigma: “nel Vangelo è scitto così e così; dunque i frati facciano così e così”. Oppure: “i frati facciano così e così, perchè nel Vangelo è scritto così e così”. Questo è un ritorno agli inizi come mentalità. E’ ovvio che la mentalità vada gestita con le misure del tempo corrente. Ma non con le mode del tempo corrente. Con la saggezza dell’esperienza e senza bisogno di tanta psicologia che, a volte, vizia il rapporto interumano, facendoci giudici gli uni degli altri. Non dico che la psicologia non conta, ma che sta parecchio dopo e forse non serve quando la tua giornata è piena e faticosa.

 Il frate minore si guadagna il pane ogni giorno e non ha tempo per fare sempre nuove esperienze. L’esperienza è quella di Gesù Cristo e del lavoro quotidiano. Francesco parla della necessità del lavoro anche manuale. Dice: chi non sa impari, per fuggire l’ozio.  L’ozio offre tanto tempo per pensare l’inutile e fantasticare su chiamate di Dio di cui Dio forse non è a conoscenza.

 A chi vuol essere frate minore, ti prego di dire:
vieni e vedi; veni e fa. Rimboccati le maniche per il Regno di Dio. Non c’è bisogno di convegni per lavorare nella vigna del Signore. Basta la pratica del lavoro.

Fr. GianMaria Polidoro ofm

LA VITA UMANA E LA PACE

Il 5 ottobre nelle pagine di Repubblica si leggeva questo
titolo: “Aborti, mai così pochi in Italia”. Cosa volete che siano
130.033 aborti legali in un anno (senza contare quelli farmaceutici)
su 560 mila bambini nati. In tutto fanno 4 milioni e 500 mila aborti
legali da quando è stata approvata la 194. Dicono sia una grande
conquista civile. Tutti i media, al seguito del ministro Turco, ci
hanno spiegato trionfalmente che 130 mila sono davvero “pochi”. E
dunque allegria! Brindiam nei lieti calici!

Ma non ci sono solo le “buone” notizie come questa. Purtroppo ci
sono anche le “stragi”. Infatti il 3 ottobre sempre La Repubblica
titolava drammaticamente: “Strage di orsi in Abruzzo”. Sono stati
trovati avvelenati tre orsi nel Parco. L’articolo iniziava
così: “Una strage, una mattanza che nasconde un piano criminale’
contro il Parco Nazionale d’Abruzzo”. Tutti i tiggì hanno parlato di
questo orrore. Un’ondata di emozione ha scosso il Paese.

Il ministro Pecoraro Scanio prospetta “l’arresto per questi
criminali” e annuncia di costituirsi parte civile. La Lipu pure.
L’associazione “Amici dell’orso Bernardo” ha fatto una fiaccolata di
protesta. La Lega antivivisezione parla di “emergenza criminale” che
sarebbe “purtroppo diffusa” fra “cacciatori, pastori e cercatori di
tartufi”.

E’ possibile parlare di pace di fronte ad una simile cultura? O è da ripensare almeno un poco la nostra visione della vita? E’ con dolore che porto alla vostra attenzione un quadro simile.

SAN FRANCESCO

Da Gesù aveva imparato che non ci sono nemici da combattere nel mondo. Il soldato armato non era un nemico; i ladroni che andarono al convento di Montecasale non erano nemici; il lupo di Gubbio non era un nemico.

In ogni uomo o donna, in ogni animale od altra creatura vedeva l’immagine di Dio o un riflesso della bellezza di Dio. Ovunque vi fosse lotta o contrasto egli si presentava e diceva “Il Signore ti dia pace”. Questo era anche il saluto che i suoi frati dovevano dire quando incontravano gente.

Un bel giorno Francesco andò in Egitto dove si svolgeva una crociata, perché desiderava fare pellegrinaggio nella terra di Gesù e per portare il saluto di pace. Non andò per combattere anche se si era nel bel mezzo di una crociata.

Si presentò davanti ai soldati egiziani e chiese di parlare nientemeno che con il Sultano che era il capo dell’esercito musulmano ed aveva nome Melek-el-Kamil. Il fatto era strano. Tra musulmani e cristiani vi erano innumerevoli barriere da superare.

C’erano differenze di civiltà, di lingua, di religione, di razza, di cultura, di interessi e tanti  altri motivi per non andare d’accordo ed odiarsi. Ma Francesco andò lo stesso. Quante barriere egli superò in quella occasione?

Non  conosceva la lingua e si fece capire; non era della stessa fede del Sultano e parlò di Dio; apparteneva ad un popolo diverso e creò amicizia; si era al fronte con due eserciti schierati a battaglia e portò pace. Tutto questo perché Francesco aveva imparato da Gesù risorto che la salvezza di tutti si trova nell’amore e nella pace.

E quando, a Santa Maria degli Angeli, fu vicino a morte, volle riconciliarsi con ogni momento della sua vita e fece scrivere a frate Jacopa, nobildonna romana, che venisse e gli portasse i panni ed i ceri per il funerale ed anche quei dolcetti che usava fargli a Roma. E cantò alla morte dicendo: ben venga mia sorella morte.

Per tutto questo anche oggi le campane suonano a gioia.

 La sera del 3 ottobre 1226, a Santa Maria degli Angeli, un uomo nuovo andava incontro al suo Dio. 

fr. GianMaria Polidoro

FORZA E NONVIOLENZA

Lo spirito ed il metodo della nonviolenza non si fermano al semplice fatto di agire rifiutando azioni violente; ma consiste nel fatto che si pensa, si parla, si agisce all’interno di un’atmosfera di reciproca accettazione, apprezzamento, aiuto e così via, verso un orizzonte ancora tutto da scoprire.
Il Vangelo ad esempio, è completamente immerso in una realtà nonviolenta.
Ciò premesso, dobbiamo precisare qualcosa di molto importante. Nonviolenza è concetto positivo. Noi non abbiamo un termine che indichi la positività della nonviolenza e pertanto usiamo un termine che indica solo il toglimento della violenza. Troppo poco per creare una sensibilità da diffondere.

La nonviolenza rifiuta la violenza, ma apprezza la forza come dono della natura all’uomo. Stiamo attenti a non confondere la forza, che è virtù, con la violenza che è assenza di equilibrio nell’uso della forza. Noi siamo chiamati a vivere lo spirito di Pace ed a costruire in noi una struttura interiore pacificata e pacifica, aliena da ogni tipo di violenza e rispettosa di ogni creatura, a partire da noi stessi.
Noi vogliamo una società nonviolenta in cui tutti i rapporti sono alieni da ogni conflittualità.
La nonviolenza la si ha nei confronti di se stessi, degli altri esseri umani, degli esseri animati ed anche degli esseri inanimati. La nonviolenza permette una ecologia di alto spessore.
Essere nonviolenti significa essere forti. Il forte ha tutte le caratteristiche per essere nonviolento.
La forza è virtù, cioè capacità buona per operare. Essa permette di fermare la violenza altrui (cioè la forza usata in modo squilibrato) senza ricorrere ad atti violenti. Il nonviolento è un uomo forte. Proprio perché forte egli può permettersi di essere nonviolento. La violenza infatti è sintomo chiaro di debolezza o di insicurezza anche quando si fosse fisicamente robusti.
Noi intendiamo sottolineare che la nonviolenza non è attributo dei deboli, ma dei forti. Per questo desideriamo introdurre il metodo nonviolento ovunque la storia e la psicologia ci parlano di violenza. Noi auspichiamo soldati nonviolenti, sportivi nonviolenti, politici nonviolenti, economisti nonviolenti…. Ciò è possibile e siamo chiamati a realizzarlo.
Come ispiratore di nonviolenza presentiamo il seguente passo di Giuseppe Lanza del Vasto:

“La nonviolenza è la forza della giustizia.
Impariamo a dissociare due cose che troppo spesso si confondono nell’opinione comune: forza e violenza.
La Forza è la migliore delle cose. La Forza è il valore dell’essere. Forza in latino si dice Virtù. La pienezza della Forza, l’onnipotenza, è Dio.
Dalla debolezza, dall’inerzia, dall’inazione, non ci si può aspettare nulla di buono.
Nemmeno dalla violenza, la quale è l’abuso della forza. Abusare della cosa migliore è quel che vi è di peggio al mondo.
La violenza è la forza del male in tutte le sue forme: la brutalità o predominio stupido delle forze inferiori; l’abuso o violazione del diritto; la menzogna o violazione della verità.
I violenti trovano deboli e vigliacchi in gran numero (il loro numero costituisce la loro forza) pronti a servirli. L’unica forza che possa opporsi alla violenza è la Forza della Giustizia”.

COSA E’ CIVILTA’ DI PACE

Per poter comprendere cosa voglia dire civiltà di pace, dobbiamo scomporre i termini e porci le domande: Cosa è civiltà?Cosa è pace? 

1- Civiltà. Detto in parole povere, ma operative, la civiltà è formata dalla tipologia dei rapporti che noi abbiamo con ogni altro essere. Questi rapporti possono essere: interumani, intercreaturali e con Dio (anche l’ateismo è un tipo di rapporto con Dio) ed anche rapporti con noi stessi. Su di essi basiamo il nostro vivere e convivere. Per questo ogni società ha una sua civiltà avendo una scala di valori cui fare riferimento. Esaminando la scala dei valori ci si rende conto del tipo di civilizzazione in cui siamo inseriti. E questo è ottimo esercizio di condivisione e confronto. Ad esempio, se diciamo “civiltà occidentale”, intendiamo quella civiltà che ha una scala di valori comunemente accolti dalle varie società dell’occidente. Quindi non qualcosa contro altre civiltà, ma qualcosa di diverso, magari da confrontare con altre civiltà. 

2- Pace. La pace non significa soltanto l’abolizione dei conflitti bellici. Per averla  non è sufficiente far cessare le guerre o anche gli odi o anche gli atteggiamenti aggressivi dei singoli o delle società. Pace è un discorso da fare tutto al positivo, che inizia pienamente dopo che le guerre sono cessate, gli odi spenti e gli atteggiamenti violenti esauriti. La pace è quanto segue: una costruzione che si innalza, dopo aver cancellato gli odi o le guerre o le varie conflittualità.Gli odi, le guerre, i conflitti possono essere esorcizzati solo quando una civiltà si basa sulla visione positiva di ogni essere e di ogni realtà. E ciò è possibile. Detto in termini religiosi, pace è la ricostruzione dell’antico rapporto positivo dell’uomo con Dio, con se stesso, con gli altri, con il creato, con la stessa morte. Potremmo dire che pace è il ritorno nell’Eden, possibile dopo la redenzione operata da Cristo. 

3- Civiltà di Pace. Una civiltà di pace, pertanto, non consiste in un generico desiderio di pace e in alcune azioni di pace ugualmente generiche, o in una bandiera che sventola in un corteo. Pace la troviamo particolarmente in una cultura di positività della persona umana per cui la società si struttura facendo leva sulle qualità positive delle persone e non su quelle negative. Anche i nostri rapporti con ogni altra creatura, ugualmente saranno basate sulla visione positiva che di esse abbiamo. In questo modo, ad esempio, la vera ecologia sarà quella basata sul rispetto, sull’uso congruo e sull’apprezzamento di ogni realtà creata cui diamo il nome di pace nel creato.

RITIRO SPIRITUALE

RITIRO SPIRITUALE
promosso da Assisi Pax International

Il Ritiro Spirituale di Assisi Pax International è un “piccolo” ritiro già più volte e in varie forme sperimentato positivamente con piccoli gruppi di studenti seminaristi americani.

Il Ritiro che viene proposto riguarda in genere un fine settimana.
Esso ha un anticipo nel tardo pomeriggio del venerdì per coloro che hanno la possibilità di essere in Assisi con un più ampio respiro; quindi si estende al sabato ed a mezza giornata della domenica.
E’ previsto per un numero limitato di persone, pellegrini o cittadini di Assisi. Si desidera infatti anche sollecitare un incontro spirituale con i concittadini da Francesco e di Chiara.

Ogni partecipante è libero di scegliere dove alloggiare e prendere il vitto. A loro è richiesta la fedeltà ai momenti comuni di preghiera e riflessione; gli spazi di tempo liberi potranno essere utili per visita e preghiera nei Santuari o nei luoghi che si desiderano.

Il Ritiro vuole aiutare a vivere momenti di spiritualità cristiana attingendo all’esperienza spirituale di Francesco e Chiara ed al pensiero cristiano e francescano sulla pace.

A tutti viene consigliato di portare il libro della Bibbia e, se possibile, le “Fonti Francescane” o almeno gli scritti di Francesco e Chiara.

I singoli momenti in comune verranno ordinariamente vissuti nel Santuario della Casa Paterna di San Francesco (Chiesa Nuova, sede di Assisi Pax International), in semplicità nei piccoli spazi ivi disponibili.

Nulla è dovuto per l’organizzazione del Ritiro.

Il Ritiro può essere richiesto da piccoli gruppi autorganizzati.

Per segnalare la propria presenza o chiedere informazioni, rivolgersi a fr. GianMaria Polidoro (personalmente al convento di Chiesa Nuova) o tramite cellulare 335-8409957 o utilizzando il numero del telefono conventuale 075-812339.

Il Signore vi dia Pace.

Assisi Pax International 

Soluzione dei Conflitti

PRIMA PARTE

1] Non possiamo parlare di conflitti e della loro soluzione senza inserire tale argomento nel quadro più ampio della pace che è argomento fondamentale per la società.

Tuttavia voler trattare di pace in modo completo, è lavoro di presunzione prima ancora che lavoro difficile. Infatti non possiamo parlare di pace in modo generico come abitualmente si fa ai nostri giorni, ma dobbiamo procedere con una analisi di cosa essa sia e di come sia possibile portarla nella nostra società. E delle sue conseguenze più immediate quali sono la risoluzione dei conflitti e l’abolizione dell’inimicizia.

E questo è lavoro lungo.

2] Mi spiego meglio: io potrei parlare ora di pace sulla scia di quanti l’intendono moralisticamente come sogno bello, ma quasi impossibile da raggiungere. La pace infatti molto spesso viene vista come una realtà futura che poggia su sentimenti di bontà conservati da ciascuno nel proprio cuore, ma che si scioglie come neve al sole non appena questa nostra bontà di fondo viene messa in discussione da interessi economici o da difficoltà di rapporti interumani.

E’ questa la sorte di tutte le nostre scelte fondate su belli e buoni sentimenti, ma non radicate sulla roccia dei convincimenti e dei valori assunti intellettualmente e vissuti nella pratica quotidiana e trasferiti nella cultura dei popoli.

3] Io penso che la pace, per essere intesa seriamente, abbia bisogno di diventare cultura di pace e civiltà di pace. Questo è un compito talmente grande da superare le capacità di una singola persona. Per questo motivo intendo solo suggerire alcune riflessioni e valutazioni ed offrire una metodologia che possano essere di stimolo a quanti mi ascoltano. E’ anche un invito a studiare e a lavorare per costruire concretamente una civiltà che possa essere chiamata civiltà di pace dove includere un pratico discorso sulla soluzione dei conflitti.

4] Ed allora, cosa è una civiltà? Dobbiamo saperlo se vogliamo poi parlare di civiltà di pace.

Se domandate a voi stessi cosa sia una civiltà, vi accorgerete che la risposta non è facile né semplice. E’ vero che noi siamo capaci di parlare di nostra civiltà, di civiltà evoluta, di civiltà occidentale, di civiltà islamica, di civiltàindigena, di civiltà cristiana, di civiltà africana o asiatica e così via. Ma specificare in che cosa consista una civiltà; quali siano gli strumenti, i concetti, i valori per costruirla resta complicato. Tentiamo di dire qualcosa a proposito.

5] Io chiamo civiltà quel tessuto di relazioni interumane (ed anche di relazioni con ogni altro essere animale o vegetale o minerale che sia) che comunemente si vivono all’interno di una data società.

Pertanto, e ciò valga come esempio, noi possiamo chiamare civiltà cristiana, quella tipologia di rapporti umani che vengono vissuti in una società che ha come base una umanità redenta, ad esempio una società che ha come quadro di riferimento i valori delle beatitudini: valori umani portati a pienezza nel cristianesimo, in Cristo.

Una civiltà cristiana, infatti, deve almeno far riferimento al rispetto per ogni vita; alla dignità dell’essere umano fin dal suo concepimento; al diritto di ogni persona di godere un minimo vitale dei beni materiali; alla valorizzazione della spiritualità; alla libertà di coscienza, di educazione etc. Ed inoltre deve avere, maturare la disposizione evangelica a cogliere ciò che è positivo in ogni realtà.

Parlare di civiltà di pace comporta quindi una cultura della positività della persona umana, per cui la società si struttura facendo leva sulle qualità positive dell’uomo e non su quelle negative. Questa notazione io la reputo molto importante.

6] A volte, è vero, ci capita anche di confondere il concetto di civiltà con quello di progresso. Quando noi diciamo civile un popolo ricco che ha molti mezzi economici e tecnologia avanzata; e chiamiamo popolo incivile un popolo povero e senza tecnologie avanzate, noi confondiamo la civiltà con il progresso materiale. Inoltre ci capita spesso di pensare che i “valori” di un popolo ricco siano di maggior peso di quelli di un popolo povero; e ciò accade quando ci troviamo (ad esempio) di fronte ad un popolo ricco che ammette eutanasia ed aborto, indicando come non civile un popolo povero, ma con valori di grande rispetto per la vita umana.

Quindi affermiamo con chiarezza: ogni popolo ha una sua civiltà, cioè un suo mondo di valori su cui fonda i rapporti sociali e i suoi rapporti con il mondo non umano. (Infatti io, quando parlo di “ecologia” la chiamo “pace con il creato” essendo essa una dimensione della civiltà umana e non un atto di apprezzamento delle cose).

Adesso possiamo fare un passo avanti e dire che una civiltà di pace esisterà quando alla base dei rapporti fra le persone, i popoli e le nazioni e alla base dei rapporti con tutto il mondo non umano, vi saranno valori di pace. Cioè valori che nascono dalla pace e conducono alla pace.

II PARTE

1] Dobbiamo capir bene cosa noi intendiamo quando diciamo la parola pace.

Se considero la pace soltanto come un sapere intellettuale, essa non sarà mai un elemento di forza nella mia vita. Se considero la pace soltanto come periodo di tempo senza guerre dichiarate, ugualmente essa non sarà una chiave per risolvere i conflitti dell’umanità.

Se invece la pace è intesa come una situazione stabile di rapporti al positivo tra le genti ed i popoli, allora il discorso si fa interessante ed intelligente e mi coinvolge fino in fondo sì da impegnarmi pienamente…

COME PARLARE DI PACE

2] Noi abbiamo la fortuna di poter utilizzare il nostro discorso religioso giudaico-cristiano per parlare di pace e capirla nell’economia della salvezza. Il termine pace (= Shalom), nel campo degli scritti sacri ebraici e cristiani, racchiude un complesso di beni che noi possiamo esprimere con positività, salute, sanità, incolumità, prosperità, salvezza, benevolenza, gioia, serenità, sicurezza, beatitudine, riconciliazione.

In pratica è pace lo stato dell’essere umano quale era nel paradiso terrestre.

3] Usando il nostro linguaggio religioso noi affermiamo che la pace è la condizione iniziale dell’essere umano ed il frutto della creazione. Possiamo dire: “In principio era la pace”. E ciò a differenza di chi afferma “In principio era la guerra”.

Ma spieghiamoci meglio perché chi non è religioso o non è cristiano possa accogliere quel che noi diciamo con il nostro linguaggio religioso.

4] Allora quando dico che la pace è la situazione umana come uscita dalle mani di Dio, voglio solo affermare che la lettura biblica dell’uomo e della donna appena creati corrisponde a quel che io intendo per pace.

La Bibbia, quando parla della creazione afferma: “Dio vide quanto aveva creato, ed ecco, era cosa molto buona”(Gen. 1,31). Cioè pienamente conforme alla sua volontà creatrice. Tutto era armonico nel disegno di Dio.

La pace dunque è il ritorno alla visione del mondo come era agli inizi.

La pace sta nel vedere ogni essere, umano o non umano, come portatore di tanta positività da permetterci di intrattenere relazioni interumane ed intercreaturali al positivo. Senza conflitti.

5] Il peccato di origine di cui ci parla la Bibbia e che descrive la situazione attuale e conflittuale dell’umanità, è destinato ad essere superato dal Messia. La situazione di inimicizia e conflittualità che noi vediamo nel mondo, non è una situazione destinata a restare l’unica realtà possibile. Essa può essere superata.

Il profeta Isaia, sognando il mondo futuro, quello cioè restaurato dal Messia, dice cose che dovrebbero farci meditare e farci anche capire cosa sia veramente la redenzione operata da Cristo:

il lupo dimorerà insieme all’agnello,

la pantera si sdraierà accanto al capretto;

il vitello e il leoncello pascoleranno insieme

e un fanciullo li guiderà.

La vacca e l’orsa pascoleranno insieme;

si sdraieranno insieme i loro piccoli.

Il leone si ciberà di paglia, come il bue.

Il lattante si trastullerà sulla buca dell’aspide;

il bambino metterà la mano nel covo di serpenti velenosi.

Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno

In tutto il mio santo monte,

perché la saggezza del Signore

riempirà il paese

come le acque ricoprono il mare.

(Is. 11, 6-9)

6] Attenzione a non fare di questo brano solo un bellissimo sogno pieno di poesia. Essa è’ una realtà che viene annunciata con linguaggio religioso e poetico, ma una realtà che noi stiamo già vivendo attualmente se sappiamo vedere il Regno di Dio che già “è in mezzo a noi”(cfr. Lc. 17,21) (cioè il futuro che a mano a mano diventa realtà) e cresce come il granello di senape (Mc. 4,31)

Non mi dilungo a sottolineare che come cristiano ho la responsabilità di accogliere la pace come dono dello Spirito, di trafficare la pace come un talento, nella misura in cui sono alla sequela di Cristo, Principe della pace.

LA CRESCITA DEL POSITIVO

7] Non attardiamoci a vedere e considerare solo il male che riscontriamo nel nostro mondo familiare, locale, nazionale e internazionale.

Non vedete voi quante cose buone stanno nascendo nel mondo? Avete mai pensato a quante realtà positive le donne possono ancora recare alla nostra società?

Ebbene noi vediamo ed annunciamo la soluzione dei conflitti in questo quadro d’insieme che è punto di riferimento verso cui si cammina. Da una società e da una civiltà dei conflitti noi possiamo camminare verso una società e civiltà di pace dove troviamo la soluzione dei conflitti o meglio, la non esistenza dei conflitti.

Come accade questo?

8] Io, come più sopra ho detto, penso che la soluzione dei conflitti sia da vedere all’interno di una civiltà di pace. Non dimentichiamo che, nel nostro convincimento, la pace è la somma di tutte le qualità positive che l’essere umano ha ricevuto nella creazione e che ha riguadagnato con la redenzione operata da Cristo. Noi cioè affermiamo che la redenzione ha veramente cambiato la nostra realtà restituendoci quei doni che avevamo prima del peccato e che verranno alla luce a mano a mano che noi, come dice san Paolo, “completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo” (Col. 1,24) cioè aggiungiamo alla passione di Cristo quel che manca, (cioè, la nostra condivisione nella sofferenza per condividere la resurrezione).

In pratica intendiamo far riferimento a tutto il lavoro faticoso spirituale e materiale che viene portato avanti per migliorare la società. Pensiamo alle sofferenze degli operatori di pace, dei missionari, dei sanitari, degli operai ed intellettuali etc. che mettono a disposizione della crescita dell’umanità le proprie risorse e, spesso, anche la propria vita.

Questo noi lo affermiamo con linguaggio religioso e cerchiamo di trasferirlo a mentalità che forse non sono religiose. Perciò facciamo un discorso forse più comprensibile anche a coloro che non hanno riferimenti cristiani o religiosi.

III PARTE

1] Se analizziamo la storia umana ed in particolare la cronaca di quanto stiamo vivendo oggi, magari a cominciare dall’attentato alle torri gemelle, fino agli ultimi atti di guerra e di soprusi; e se guardiamo il comportamento degli operatori economici grandi o piccoli che siano, ci rendiamo conto come la tipologia delle nostre relazioni umane è basata in grandissima quantità, sul metodo della lotta e del conflitto e spesso della ruberia.

Di conseguenza, noi comunemente pensiamo di risolvere i problemi nostri e della società col metodo del conflitto che premia il più forte o il più violento. Sembra che questo metodo ci soddisfi; ed allora quando parliamo di risolvere i conflitti in atto, noi pensiamo a strategie in conformità ai conflitti.

IL VALORE PARZIALE DELLE STRATEGIE

2] Pensiamo cioè alla diplomazia (che lavora per appianare i contrasti); pensiamo alla forza (che fa tacere le ribellioni ed impone comportamenti di sottomissione); pensiamo a governi sopranazionali come l’ONU (che tenta di operare da moderatore pur rimanendo spesso succube dei poteri più forti); e pensiamo a tante strade adatte a spianare, almeno un poco, i contrasti: come i convegni, gli incontri, gli aiuti economici e spirituali etc. etc.

Ma credete voi che la soluzione dei conflitti sia in una o in tutte queste strategie? (Naturalmente qui parliamo di soluzioni definitive e non di soluzioni temporanee).

3] O non dobbiamo noi cercare un’altra strada quale è quella che non faccia sorgere i conflitti; invece di una metodologia che cerca solo di appianarli?

Certamente le strategie che tendono ad appianare ed anche superare temporaneamente i conflitti sono una buona cosa e possono aiutare un equilibrio nel mondo, sia a livello personale che internazionale. Ma pensate voi che questa sia la strada definitiva della soluzione dei conflitti? Quella di cui noi cristiani siamo profeti?

Certamente, ripeto, può essere una strada per comporre tregue e dare una soluzione temporanea ai conflitti. Ma non molto di più.

Quello di cui si ha bisogno, invece, è una soluzione in sintonia con quel che intendiamo per pace e che derivi dalla pace.

Una pace che, come afferma la Gaudium et Spes, non è raggiunta, ma è in cammino.

E’ nostro intendimento, è intendimento del WUCWO cercare la possibilità di evitare i conflitti, invece di cercare la soluzione dei conflitti.

UNA METODOLOGIA

4] Come si evitano i conflitti? C’è una metodologia per evitare i conflitti?

Sì, esiste una metodologia.

Quando noi cominciamo a pensare i rapporti umani in termini di positività e collaborazione, invece che in termini di conflittualità. Quando impariamo cosa sia la nonviolenza. Quando cancelliamo dalla nostra mente il termine nemico. Quando perdiamo l’interesse allo sfruttamento delle persone e della natura. Quando evitiamo di usare il linguaggio guerresco nei nostri rapporti.

Ma in un mondo, quale è il nostro, ciò è possibile oppure è soltanto una utopia?

5] Vedete, se torniamo indietro a rileggere la storia umana, noi troviamo lunghi secoli in cui si era convinti che solo la guerra potesse risolvere i conflitti. Tuttavia incontriamo, raramente purtroppo, anche periodi in cui i popoli hanno creduto che la pace fosse possibile. Ebbene, uno dei periodi storici in cui è molto diffuso il convincimento della possibilità e convenienza della pace, è il periodo storico che stiamo vivendo noi ora. Dopo la seconda guerra mondiale si fa sempre più strada il convincimento che la pace sia possibile e che sia, addirittura, l’unica via per la convivenza dei popoli.

Noi siamo chiamati metterci tra questa gente che crede nella pace e nella possibilità di superare una società conflittuale per creare una società di collaborazione e di solidarietà.

6] Per fare questo, impariamo a considerarci reciprocamente al positivo.

C’è da attivare in noi una rivoluzione culturale. Imparare a vedere l’altro e le cose nella loro dimensione positiva.

Guardiamoci in faccia adesso: io valuto positivamente chi mi sta a fianco? Cerco io di avvicinarmi alla vicina, al vicino, con valutazione positiva? Questo sarebbe una pratica rivoluzione culturale.

Naturalmente per una simile rivoluzione culturale c’è bisogno di un esercizio costante di pulizia della nostra mente abituata a considerare il negativo. Non pensate che ciò sia facile, ma, credetelo, è possibile. Io ne faccio esperienza quotidiana. Noi siamo gli annunciatori e le annunciatrici di questa realtà, siamo i profeti di questa possibilità.

Se lo vogliamo.

7] Si inizia con un cambiamento di mentalità.

Io indico abitualmente ai docenti di vivere una esperienza; quella di sottoporre a ciascun alunno/a l’elenco dei compagni e compagne di classe e chiedendo di scrivere a fianco di ogni nome le qualità positive riscontrate. In un primo momento la classe rimane sorpresa ed incerta. Non siamo infatti abituati a vederci al positivo. Ma poi accade sempre di scoprire i lati positivi. Tanti lati positivi da riempire gli spazi.

Accade; è accaduto, che dopo questa esperienza l’intera classe è cambiata. Si è instaurato un sistema di relazioni al positivo. E’ l’esempio di una possibile civiltà al positivo. Di pace.

8] Da una difficoltà iniziale si passa ad una pratica sempre più facile.

Poiché la visione positiva della realtà è all’origine della nostra esistenza, non faremo fatica ad accorgerci che l’insistenza sul positivo avrà buon successo.

Quando parliamo di dialogo, di incontro, di trattativa non facciamo altro che avviare un cammino di positività. Noi cioè tentiamo di vedere il positivo nell’altro per costruirvi sopra l’incontro. Questa strada può sembrare ed è faticosa perché attualmente non è nostra abitudine considerare il positivo. Ma una volta che ne avremo presa l’abitudine, ne vedremo diminuire la fatica.

9] Ed io indico questa strategia come tipica del nostro movimento di pace. Addirittura prego ciascuno/a di dichiararsi a favore di questa strategia. Infatti ognuno/a di noi che vive una simile concezione della pace, ha qualcosa di importante da dire al mondo; e se non parleremo corriamo il rischio di non fare il nostro dovere nella società.

E’ nostra ambizione entrare nel mondo per cambiarne la mentalità conflittuale. Noi siamo gente che ha la possibilità di modificare il comportamento umano. Se non avessimo questa ambizione e desiderio, a poco servirebbe adunarsi e magari soltanto parlare di una proposta nuova.

 PER CONCLUDERE

UN LAVORO DA COMPIERE

1] L’affermazione della inutilità della guerra per risolvere i problemi, dovrebbe diventare caratteristica convinta di ognuno/a di noi. E non solamente a parole.

Il rifiuto di ogni forma di razzismo dovrebbe nascere dalla nostra abitudine a considerare il positivo di ogni persona e cultura.

La coscienza che ogni nostra ricchezza ha un suo risvolto sociale, dovrebbe spingerci a considerare la necessità che ogni persona nel mondo abbia di che vivere e di che vestire.

Immaginate cosa accadrà quando, con questa nostra metodologia di pace, qualcuno/a o molti/e sceglieranno di entrare nel mondo politico o in quello economico. O nel mondo dei fautori della pace.

2] Pertanto dobbiamo affinare la metodologia per cancellare le conflittualità.

Purtroppo, nel lavoro di pace con molta frequenza si incontra gente che crede di costruire la pace distribuendo giudizi di condanna. Quante volte ci troviamo in raduni e sentiamo imprecazioni e condanne contro coloro che sono ritenuti artefici di cattva politica o cattiva economia. Anche qualora si dicessero cose vere, il “giudizio di condanna” allontanerebbe per sempre il discorso di pace perché allontanerebbe le persone che intendiamo coinvolgere. Personalmente ho visto troppi pacifisti con l’odio negli occhi e nel cuore. Dobbiamo cancellare questo modo di far pace e risolvere i conflitti. Sarebbe sempre la vittoria del più forte.

3] Tutto questo discorso, tuttavia, non è da confondere con la debolezza. Il sentimento e la metodologia di pace usati, non significano debolezza.

Anzi suppongono forza.

Se vogliamo giungere ad una civiltà di pace, dobbiamo imparare ad usare il metodo della nonviolenza che presuppone un sano concetto di forza.

Solo chi è forte può permettersi di essere nonviolento.

Se riusciremo a comprendere che alla base di ogni operazione di pace c’è il metodo della nonviolenza e che alla base del metodo nonviolento c’è il concetto di forza, molta gente si convertirà alla pace perché comincerà a capire cosa sia veramente la pace. Che non è utopia, ma strada nuova che la Provvidenza ci pone davanti perché, dopo tante esperienze negative, la si possa percorrere.

E qui entriamo nella concretezza.

Quando ci si accorgerà che parliamo di cose concrete e che concretamente stiamo attivando una civiltà di pace (quella società che, con linguaggio religioso, è detta Regno di Dio), allora molti verranno.

 Ma vorranno vedere che le cose funzionano.

E Dio vi benedica.
Fr. GianMaria Polidoro
03 giugno 2006

Agonismo

Agonismo è gioia della propria forza fisica;
Agonismo è apprezzamento della forza fisica del competitore;
Agonismo è educazione ad una forza nonviolenta;
Agonismo è tenacia nella preparazione atletica;
Agonismo è impegno a superare gli ostacoli;
Agonismo è riconoscimento del valore di chi gareggia;
Agonismo è entusiamo di essere primo;
Agonismo è serenità nell’arrivare secondo;
Agonismo è rifiuto di essere antagonista;
Agonismo è gioia di vivere la competizione;
Agonismo vuol dire lotta per essere migliore;
non guerra per distruggere l’altro.

Il Decalogo di Assisi Inviato dal Papa a 60 Capi di Stato

Ad un mese di distanza dall’incontro di Assisi del 24 febbraio 2002
1- Noi ci impegniamo a proclamare la nostra ferma convinzione che la violenza e il terrorismo sono in opposizione ad un vero spirito religioso e, condannando ogni ricorso alla violenza e alla guerra in nome di Dio o della religione, noi ci impegniamo a fare tutto il possibile per sradicare le cause del terrorismo.
2- Noi ci impegniamo ad educare le persone al rispetto e alla stima reciproci, in modo che si possa raggiungere una coesistenza pacifica e solidale tra i membri di etnie, culture e religioni differenti.
3- Noi ci impegniamo a promuovere la cultura del dialogo, in modo da sviluppare la comprensione e la fiducia reciproche tra gli individui e tra i popoli, perché queste sono le condizioni di una pace autentica.
4- Noi ci impegniamo a difendere il diritto di ogni persona umana a condurre un’esistenza degna, conforme alla sia identità culturale, e a costituire liberamente una famiglia che le sia propria.
5- Noi ci impegniamo a dialogare con sincerità e pazienza, non considerando ciò che ci separa come un muro invalicabile, ma, al contrario, riconoscendo che il confronto con la diversità degli altri può divenire occasione di una più grande comprensione reciproca.
6- Noi ci impegniamo a perdonarci reciprocamente per gli errori e i pregiudizi del passato e del presente, e sostenerci nello sforzo comune per vincere l’egoismo e l’abuso, l’odio e la violenza, e per imparare dal passato che la pace senza giustizia non è pace autentica.
7- Noi ci impegniamo ad essere dalla parte di coloro che soffrono per la miseria e l’abbandono, divenendo la voce dei senza voce e lavorando concretamente per superare tali situazioni, convinti che nessuno può essere felice da solo.
8- Noi ci impegniamo a fare nostro il grido di coloro che non si rassegnano alla violenza ed al male, e desideriamo contribuire con tutte le nostre forze a dare all’umanità del nostro tempo una reale speranza di giustizia e di pace.
9- Noi ci impegniamo ad incoraggiare ogni iniziativa che promuova l’amicizia fra ai popoli, convinti che, se manca una solida intesa fra i popoli, il progresso tecnologico espone il mondo a dei rischi crescenti di distruzione e di morte.
10- Noi ci impegniamo a chiedere ai responsabili delle nazioni di fare tutti gli sforzi possibili perché, a livello nazionale e internazionale, sia costruito e consolidato un mondo di solidarietà e di pace fondata sulla giustizia.

Un uomo di Pace

La prima cosa che un uomo di Pace deve fare è un cambiamento radicale delle proprie categorie mentali. I giudizi (= soggetto + predicato) dell’uomo di Pace sono fondamentalmente diversi da quelli che possono essere espressi da una persona non impegnata a portare avanti una civiltà di Pace.
Il rapporto con le altre persone, una volta che ci siamo “smilitarizzati” dentro, è un rapporto cambiato , nuovo: l’altro, che sia il diverso o l’oppositore, l’handicappato o il non-colto, o il concorrente o l’avversario, acquisisce nella nostra coscienza la qualifica fondante di fratello, socio, collaboratore. Ci si rende conto allora di quanto sia poca cosa ogni rapporto conflittuale e si comincia a pensare alla possibilità di creare un nuovo tipo di società in cui la Pace diventa strumento di civilizzazione.
A questo proposito è interessante ed illuminante notare l’espressione usata da san Francesco per i ladri di Montecasale: fratello ladrone. Con questa espressione egli affermava due verità: quella teologica di “fratello” e quella a carattere sociologico di “ladrone”. San Francesco, con il suo animo smilitarizzato, riusciva a far convivere, anzi a legare insieme, i due appellativi, cementati da un amore concreto e fattivo. Se l’altro è per me un fratello, una positività, riuscirò ad istaurare con lui un rapporto di Pace, anche se è un “ladrone”.
Questo nuovo tipo di rapporto interumano, che crea una civiltà nuova, è da applicare anche all’intera creazione in modo da poter chiamare “Pace con il creato” tutto quello che generalmente viene chiamato “ecologia”. Ciò avviene quando non si ha più paura della natura e quando la natura nulla ha più da temere dall’essere umano Un rapporto al positivo con ogni altra persona ed ogni realtà creata diventa così fondamento per una novità di vita.
Non si venga a dire che ciò è utopia. Anche la pace tra le nazioni europee, cinquanta anni fa, era considerata pura utopia; ed oggi abbiamo l’Europa unita. Il futuro è da sognare, da profetizzare e quindi da costruire giorno dopo giorno. In questo modo si è gente di Pace.