INTERNET ED IL PAPA

FAME NEL MONDO

COSA PUO’ FARE UNA DONNA PER LA PACE

Considerando la variegata situazione della pace nella situazione mondiale, sembra si possa dire che l’assenza di pace sia da attribuire principalmente alla idea di lotta che ormai ha pervaso l’umanità…

COME RISOLVERE I CONFLITTI

SULLA METODOLOGIA DI PACE

sulla metodologia di pace (dal libro una civiltà di pace):
Ad oggi la nostra razionalità ci ha portato ad una civiltà relativamente “benestante”, almeno ad oggi e in parte dell’occidente ma anche in parte in altri territori.
Questa civiltà, tuttavia, tiene conto ancora di una conflittualità belligerante di base, sia che sia lotta di territorio sia che sia lotta di classe.
Questo perché non si è ancora giunti alla comprensione di un equilibrio tra le ragioni della mente e le ragioni del cuore, ovvero le prime quelle che permettono il benessere e le seconde quelle che permettono di goderne appieno così come quando il cuore batte e si riscalda riempendosi di gioia.
La civiltà di pace è quella che, anche e volendo sopratutto attraverso “l’istruzione e/o l’intercessione divina”, sa porre in equilibrio le ragioni di mente e quelle di cuore, la razionalità e la spiritualità, così come quando il pensiero riesce a materializzare in pieno l’azione l’equilibrio deve essere perfetto, erga omnes.

La razionalità e l’attuale conflittualità competitiva e belligerante non potranno mai ottenere un risultato erga omnes, questo è il difetto di base e ne è il punctum dolens che dimostra in pieno l’errata epistemologia.
Per fare un esempio pratico, anche banale ma che rende l’idea: al nord potranno ritenere arretrato il sud in uno alla civiltà “mafiosa” che non permette di realizzare ciò che è nella “democrazia” nordica. In ciò possono eccedere nel “razzismo” anche per altre differenti forme di arretratezza anche di latri territori, per poi sfruttare quando gli è permesso ogni forma di “arretratezza”… ma anche questa non è da considerarsi metodo “mafioso”? Si, in effetti la conflittualità razionalistica e belligerante sconfina inevitabilmente nella metodologia mafiosa e ciò non permetterà mai, inoltre, il pieno godimento delle “proprie innaturali doti spirituali” e quindi risulterà sempre squilibrata da una parte, che cambia nel tempo e nello spazio. E così via dicendo la regola è sempre “conflittuale belligerante”…
Bisogna per forza individuare sempre il tempo e lo spazio giusto pena la soccombenza? Nella risposta affermativa è implicita la lotta continua proprio per lo stesso tempo e lo stesso spazio. Questa stessa domanda, però, potrebbe farci riflettere che la conflittualità per essere progresso in equilibrio con le ragioni spirituali deve nella premessa essere semplicemente non belligerante in qualsivoglia forma… in questa prospettiva potremmo chiamarla anche dialogo costruttivo, alla cui base vi è comunque un pensiero di pace erga omnes capace di equilibrare la ragione della nostra mente e la misura del nostro cuore (aggiungere etica nicomachea Aristotele con pacta sunt servanda + valori Mariano).

Oggi la nostra razionalità ci porta a non comprendere appieno le ragioni spirituali e quindi a non potere godere appieno dei nostri sforzi. Cambiando la metodologia da conflittuale belligerante in conflittuale costruttiva potremmo porre le basi per un equilibrio tra ragione e cuore, godendo appieno di ogni nostra intelligenza in equilibrio con lo spirito anche “attraverso l’istruzione e intercessione divina”… questà è la base per una civiltà di pace erga omnes.

Ivano Mariano

PRESENTAZIONE DI ASSISI PAX INTERNATIONAL

L’associazione Assisi Pax International è nata per offrire un progetto di pace, per quanto possibile, al di fuori dell’utopia.
La pace che noi prospettiamo è un cammino concreto di civilizzazione umana; una meta che si sta configurando nel mondo. Ci sembra di poter affermare che la pace, nei secoli, è apparsa impossibile perché spesso presentata con discorso moralistico e consolatorio.
Basandoci sulla nostra capacità di impostare il rapporto interumano sulla positività di ognuno, pensiamo di poter creare un cammino di civilizzazione dell’umanità verso una situazione normale di pace. Pace infatti – come affermato dalla Gaudium et Spes- non vuol dire solo assenza di guerra, ma capacità dell’essere umano di rapportarsi al positivo.

E’ importante convenire che l’attuale assetto culturale dell’umanità poggia su prevalenti rapporti conflittuali e di potere a tutti i livelli. Una simile cultura che caratterizza il nostro mondo, dalla politica all’economia ai rapporti di varia natura, non può prevedere la pace come stato permanente dell’umanità, ma soltanto come sospensione temporanea dei conflitti. Pertanto la pace intesa come stato permanente dell’umanità, in tale contesto, sarebbe utopia. Noi però crediamo che la pace sia possibile. E conveniente.
Per questo lavoriamo per una civiltà di pace.
Ma prima dobbiamo capire cosa sia civiltà e cosa sia veramente pace.
Per poterlo capire dobbiamo scomporre i termini e porci le domande:
Cosa è civiltà?
Cosa è pace?

1- Civiltà.
Detto in parole povere, ma operative, la civiltà è formata dalla tipologia dei rapporti che noi abbiamo con ogni altro essere. Questi rapporti possono essere, naturalmente, interumani, intercreaturali e con Dio (anche l’ateismo è un tipo di rapporto con Dio) su cui basiamo il nostro vivere e convivere. Per questo ogni società ha una sua civiltà avendo una scala di valori cui fare riferimento.
Esaminando la scala dei valori ci si rende conto del tipo di civilizzazione in cui si è inseriti. Ad esempio, se diciamo “civiltà occidentale”, intendiamo quella civiltà che ha una scala di valori comunemente accolti dalle varie società dell’occidente. Quindi non qualcosa contro altre civiltà, ma qualcosa di diverso, magari da confrontare con altre civiltà.

2- Pace.
La pace non significa soltanto l’abolizione dei conflitti bellici. Per averla non è sufficiente far cessare le guerre o anche gli odi o anche gli atteggiamenti aggressivi dei singoli o delle società. Pace è un discorso da fare tutto al positivo, che inizia pienamente dopo che le guerre sono cessate, gli odi spenti e gli atteggiamenti violenti esauriti. La pace è quel che segue: una costruzione che si innalza, dopo aver cancellato gli odi o le guerre o le varie conflittualità.
Gli odi, le guerre, i conflitti possono essere esorcizzati solo quando una civiltà si basa sulla visione positiva di ogni essere e di ogni realtà. E ciò è possibile.
Detto in termini religiosi, pace è la ricostruzione dell’antico rapporto positivo dell’uomo con Dio, con se stesso, con gli altri, con il creato, con la stessa morte. Potremmo dire che pace è il ritorno nell’Eden, possibile dopo la redenzione operata da Cristo. Questo riferimento alla redenzione (naturalmente per me, espresso con linguaggio religioso) è foriero di grandissime aperture alla conoscenza.

3- Civiltà di Pace
Una civiltà di pace, pertanto, non consiste in un generico desiderio di pace e in alcune azioni di pace ugualmente generiche, o in una bandiera che sventola in un corteo. Pace la troviamo particolarmente in una cultura di positività della persona umana per cui la società si struttura facendo leva sulle qualità positive delle persone e non su quelle negative. Anche i nostri rapporti con ogni altra creatura, saranno basate sulla visione positiva che di esse abbiamo.
In questo modo, ad esempio, la vera ecologia sarà quella basata sul rispetto, sull’uso congruo e sull’apprezzamento di ogni realtà creata cui noi di Assisi Pax diamo il nome di pace con il creato.
Nostro compito è pertanto un cammino verso la costruzione di una civiltà che abbia come punto di forza il senso del positivo e lo scioglimento del concetto e realtà del nemico e della conflittualità. Ciò lo impariamo dalla lettura cristiana della creazione.

C’è una spiegazione da dare.
Noi, quando parliamo di pace facciamo abituale riferimento alla fede cristiana. Questo però non significa che parliamo all’interno della fede, ma significa che noi usiamo il linguaggio della fede per trasmettere convincimenti e proposte. La fede infatti ha un suo linguaggio che porta a conoscere la realtà dalla sua angolazione, che non è contraria alla conoscenza che abbiamo con la razionalità o la scienza. E’ come vedere un panorama da angolazioni diverse o la realtà con strumenti conoscitivi diversi quali la razionalità, la poesia, la pittura, la musica etc. etc. Ogni strumento conoscitivo mi parla dello stesso argomento con un linguaggio diverso ma ricco di conoscenza; pertanto complementare. Per questo usiamo il linguaggio religioso che è da tradurre negli altri linguaggi.

La lettura del nostro progetto di pace è mediato dalla lettura del Vangelo fatta da Francesco di Assisi così come intuito da fr. GianMaria Polidoro.
L’impegno per la pace risulta quindi prima di tutto come momento culturale per cui modifichiamo i nostri approcci:

a- il nostro modo di leggere la realtà e capirla;
b- il nostro modo di parlare usando, metodologicamente, un linguaggio che non trae spunto dalla conflittualità (ad es. non usiamo i verbi vincere, sconfiggere etc) che richiamano posizioni mentali conflittuali;
c- un metodo di dialogo basato sulla scoperta, evidenziamento e apprezzamento del positivo che è nell’altro;
d- un posizionamento nella società in modo nonviolento, della specifica nonviolenza di cui parliamo più sotto.
e- il convincimento che la pace non solo è possibile, ma anche conveniente (la convenienza sarà molla che sosterrà l’attenzione dei tanti).

LA NONVIOLENZA

Lo spirito ed il metodo della nonviolenza non si fermano al semplice fatto di agire rifiutando azioni violente; ma consiste nel fatto che si pensa, si parla, si agisce all’interno di un’atmosfera di reciproca accettazione, apprezzamento, aiuto e così via, verso un orizzonte ancora tutto da scoprire.
Il Vangelo ad esempio, è completamente immerso in una realtà nonviolenta.
Ciò premesso, dobbiamo precisare qualcosa di molto importante. Nonviolenza è concetto positivo. Noi non abbiamo un termine che indichi la positività della nonviolenza e pertanto usiamo un termine che indica solo il toglimento della violenza. Troppo poco per creare una sensibilità da diffondere.

La nonviolenza rifiuta la violenza, ma apprezza la forza come dono della natura all’uomo. Stiamo attenti a non confondere la forza, che è virtù, con la violenza che è assenza di equilibrio nell’uso della forza. Noi siamo chiamati a vivere lo spirito di pace ed a costruire in noi una struttura interiore pacificata e pacifica, aliena da ogni tipo di violenza e rispettosa di ogni creatura, a partire da noi stessi. Noi vogliamo una società nonviolenta in cui tutti i rapporti sono alieni da conflittualità.
La nonviolenza la si ha nei confronti di se stessi, degli altri esseri umani, degli esseri animati ed anche degli esseri inanimati. La nonviolenza permette una ecologia di alto spessore. Vedi quanto diciamo sull’ecologia o pace con il creato. Essere nonviolenti significa essere forti. Il forte ha tutte le caratteristiche per essere nonviolento.
La forza è virtù, cioè capacità buona per operare. Essa permette di fermare la violenza altrui (cioè la forza usata in modo squilibrato) senza ricorrere ad atti violenti. Il nonviolento è un uomo forte. Proprio perché forte egli può permettersi di essere nonviolento. La violenza infatti è sintomo chiaro di debolezza o di insicurezza anche quando si fosse fisicamente robusti.
Noi intendiamo sottolineare che la nonviolenza non è attributo dei deboli, ma dei forti. Per questo desideriamo introdurre il metodo nonviolento ovunque la storia e la psicologia ci parlano di violenza. Noi auspichiamo soldati nonviolenti, sportivi nonviolenti, politici nonviolenti, economisti nonviolenti…. Ciò è possibile e siamo chiamati a realizzarlo.

Come ispiratore di nonviolenza presentiamo il seguente passo:
“La nonviolenza è la forza della giustizia.
Impariamo a dissociare due cose che troppo spesso si confondono nell’opinione comune: forza e violenza.
La Forza è la migliore delle cose. La Forza è il valore dell’essere. Forza in latino si dice Virtù. La pienezza della Forza, l’onnipotenza, è Dio.
Dalla debolezza, dall’inerzia, dall’inazione, non ci si può aspettare nulla di buono.
Nemmeno dalla violenza, la quale è l’abuso della forza. Abusare della cosa migliore è quel che vi è di peggio al mondo.
La violenza è la forza del male in tutte le sue forme: la brutalità o predominio stupido delle forze inferiori; l’abuso o violazione del diritto; la menzogna o violazione della verità.
I violenti trovano deboli e vigliacchi in gran numero (il loro numero costituisce la loro forza) pronti a servirli. L’unica forza che possa opporsi alla violenza è la Forza della Giustizia”
Giuseppe Lanza del Vasto
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ECOLOGIA – PACE CON IL CREATO

Ecologia è termine greco e significa “dottrina della casa” o scienza della casa. Di quella casa che è il mondo. Io preferisco chiamarla Pace con il creato per quella unità di visione del mondo che mi fa porre la pace come fondamento di ogni relazione.
Il sapere ecologico deve trattare del corretto abitare dell’uomo in questa casa dove Dio lo ha posto e che è il mondo. Per fare ciò abbiamo bisogno di regole che possiamo trarre da una semplice riflessione sulle prime pagine della Bibbia che riguardano la creazione.
Dice il libro biblico della Genesi a proposito dell’uomo e della donna:
” Dio li benedisse e disse loro:
siate fecondi e moltiplicatevi,
riempite la terra;
soggiogatela e dominate … (Gen 1,28).

La regola data da Dio per il rapporto uomo/creazione è inclusa nei verbi soggiogatela (la terra) e abbiate dominio (sugli esseri viventi). L’intero discorso è chiarificato e precisato nel successivo capitolo: “Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gen 2,15).
Coltivare o altro termine equivalente che si volesse usare, vuol dire portare la terra ad una situazione corrispondente ad un disegno. Custodire invece vuol dire non distruggere e non perdere quanto è dono del Signore: animali o piante o acque o monti che siano.
La saggezza dell’agire fra l’esigenza del coltivare e l’esigenza del custodire porta a quell’equilibrio che chiamiamo equilibrio ambientale.
Sono da lasciar da parte quelle forme di emotività non agganciate al pensiero solido. Per restare nel razionale, ad esempio, la difesa di ogni forma di vita, così come viene proclamata a parole, non dovrebbe far distinzione fra la vita dell’agnello o del cagnolino e quella dell’insetto per cui è pronto l’insetticida o del vitello che viene mattato per farne scatolette di buona carne anche per cani e gatti. Purtroppo tanta gente non s’accorge della propria illogicità e porta confusione nel campo dei rapporti intercreaturali.

Ecco un modello che cala nella realtà la preoccupazione del coltivare e del custodire.
Tommaso da Celano parlando dell’amore di Francesco per la creazione, traccia un profilo di sensibilità che sottolinea l’equilibrio del Santo nel rapporto con il creato e lo fa a riguardo delle indicazioni che egli dava ai suoi frati per l’orto del convento:
“Quando i frati tagliano legna, proibisce loro di recidere completamente l’albero, perché possa gettare nuovi germogli. E ordina che l’ortolano lasci incolti i confini attorno all’orto, affinché a suo tempo il verde delle erbe e lo splendore dei fiori cantino quanto è bello il Padre di tutto il creato. Vuole pure che nell’orto un’aiuola sia riservata alle erbe odorose e che producono fiori, perché richiamino a chi li osserva il ricordo della soavità eterna” (2Cel 165,11 in Fontes Franciscani).
L’orto dunque diviso in tre parti: una per le necessità dei frati, una per le erbe odorose e la bellezza dei fiori, ed una perché la natura selvatica possa avere il proprio spazio.
Come dire: coltivare e custodire.
Solo se ci poniamo nella logica del coltivare e del custodire possiamo compiere interventi modificativi dell’ambiente con un minimo di credibile rispetto. Una saggia ecologia impara da questa visione religiosa e dalla interpretazione che ne ha data Francesco.
Certamente al giorno d’oggi possiamo trovare metafore ed esemplificazioni diverse da quelle della vita pastorale e contadina per indicare il ruolo dell’uomo sulla terra, ma i concetti del coltivare e del custodire, restano. Dipende da scienza e sapienza saper tracciare le strade da percorrere.

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ARTEPACE

Avete mai pensato all’arte come chiave per avviare il progresso per lo sviluppo civile e tecnologico di un popolo? Assisi Pax International propone di immaginare l’arte quasi fosse un rampino che l’uomo lancia in alto su uno spuntone di roccia da scalare. Una volta agganciato il rampino, egli si sostiene alla corda mentre ascende. E quando giunge alla balza trova ancora l’invito ad andare oltre, a ripetere il lancio verso la vetta.
La civilizzazione umana progredisce così, come l’arte che aggancia quel che è più in alto, il nuovo. L’arte anticipa il progresso presentandolo sotto forma artistica ed illuminando il futuro. La comunità umana fa esperienza dell’arte come anche della religione, ed impara a guardare oltre e trascendere la pura materialità programmando così una crescita di civiltà. Per questo all’arte va riconosciuto non solamente un valore di godimento estetico (che potrebbe anche essere considerato di limitato valore), ma la capacità di innalzare l’uomo alle vette della civiltà.
L’arte pertanto non è un lusso a volte inteso a discapito dei poveri e dei diseredati, ma una necessità umana senza la quale il progresso sarebbe nullo o estremamente lento.
Quando il genere umano cominciò a fare religione ed arte, intraprese il cammino che noi ancora stiamo percorrendo. Poiché religione ed arte sono due realtà e non due momenti ludici dello spirito umano. Noi riconosciamo l’arte come strada per una civiltà di pace.

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Metodologia di Pace

Quando si opera in zona pace, è da fare attenzione a non chiedere l’impossibile. Alla attuale società possiamo chiedere solo quanto è concretamente comprensibile dalla gente e dai capi, con un soldo appena di utopia in più. Altrimenti l’argomento pace viene ricollocato nel novero delle utopie buone per la piazza.
Questi sono alcuni punti di forza:
– La pace non è un semplice spazio di tempo tra due conflitti, ma è modo di vivere, frutto di una civilizzazione non più basata sulla conflittualità, ma sulla collaborazione competitiva e sulla solidarietà, rapporti che nascono da una visione al positivo di ogni relazione.
– E’ possibile creare una cultura in cui l’attenzione al positivo induce una nuova tipologia di rapporto creativo di nuove opportunità. Possiamo pensare all’Europa Unita come sperimentazione di un cambio di rapporti: da conflittuali produttori delle guerre e povertà dei secoli passati; ai rapporti attualmente esistenti che finora hanno prodotto pacificazione e aumento di ricchezza.
– Esaminando il concetto profondo di cultura umana, ci rendiamo conto come nuove culture possano essere create e nuovi valori possono essere indicati. In tal senso noi affidiamo come compito, ai singoli settori della convivenza umana, lo studio e la sperimentazione di come il positivo possa essere applicato alle singole situazioni ed ai singoli rapporti. Ad esempio, come è possibile una competizione in chiave di agonismo e non di antagonismo; o un rapporto economico sulla base della reciproca valorizzazione.
– Nella situazione attuale la pace ha bisogno di interventi concreti; di chi abbia la capacità e possibilità di entrare dentro il più intimo delle situazioni ed operare dall’interno. Forse non è più il tempo della semplice diplomazia.
– La nostra prospettiva di pace è ispirata al concetto di pace biblico ed evangelico (pace come ritorno all’Eden e cammino verso il Regno); ed alla metodologia di san Francesco che comanda, come frutto di una “rivelazione” di Dio, di entrare nelle situazioni di conflitto ed operare dall’interno.

Assisi Pax International ha sede in Assisi, Piazza Chiesa Nuova, 7 (Santuario della casa paterna di san Francesco).

GIANMARIA POLIDORO

GIORNATA MONDIALE DELLA PACE – 1 GENNAIO 2008 – MESSAGGIO DEL PAPA

FAMIGLIA UMANA, COMUNITÀ DI PACE

  1. All’inizio di un nuovo anno desidero far pervenire il mio fervido augurio di pace, insieme con un caloroso messaggio di speranza agli uomini e alle donne di tutto il mondo. Lo faccio proponendo alla riflessione comune il tema con cui ho aperto questo messaggio, e che mi sta particolarmente a cuore: Famiglia umana, comunità di pace. Di fatto, la prima forma di comunione tra persone è quella che l’amore suscita tra un uomo e una donna decisi ad unirsi stabilmente per costruire insieme una nuova famiglia. Ma anche i popoli della terra sono chiamati ad instaurare tra loro rapporti di solidarietà e di collaborazione, quali s’addicono a membri dell’unica famiglia umana: « Tutti i popoli — ha sentenziato il Concilio Vaticano II — formano una sola comunità, hanno un’unica origine, perché Dio ha fatto abitare l’intero genere umano su tutta la faccia della terra (cfr At 17,26), ed hanno anche un solo fine ultimo, Dio »(1).

Famiglia, società e pace

  1. La famiglia naturale, quale intima comunione di vita e d’amore, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna(2), costituisce « il luogo primario dell’“umanizzazione” della persona e della società »(3), la « culla della vita e dell’amore »(4). A ragione, pertanto, la famiglia è qualificata come la prima società naturale, « un’istituzione divina che sta a fondamento della vita delle persone, come prototipo di ogni ordinamento sociale »(5).
  2. In effetti, in una sana vita familiare si fa esperienza di alcune componenti fondamentali della pace: la giustizia e l’amore tra fratelli e sorelle, la funzione dell’autorità espressa dai genitori, il servizio amorevole ai membri più deboli perché piccoli o malati o anziani, l’aiuto vicendevole nelle necessità della vita, la disponibilità ad accogliere l’altro e, se necessario, a perdonarlo. Per questo la famiglia è la prima e insostituibile educatrice alla pace. Non meraviglia quindi che la violenza, se perpetrata in famiglia, sia percepita come particolarmente intollerabile. Pertanto, quando si afferma che la famiglia è « la prima e vitale cellula della società »(6), si dice qualcosa di essenziale. La famiglia è fondamento della società anche per questo: perché permette di fare determinanti esperienze di pace. Ne consegue che la comunità umana non può fare a meno del servizio che la famiglia svolge. Dove mai l’essere umano in formazione potrebbe imparare a gustare il « sapore » genuino della pace meglio che nel « nido » originario che la natura gli prepara? Il lessico familiare è un lessico di pace; lì è necessario attingere sempre per non perdere l’uso del vocabolario della pace. Nell’inflazione dei linguaggi, la società non può perdere il riferimento a quella « grammatica » che ogni bimbo apprende dai gesti e dagli sguardi della mamma e del papà, prima ancora che dalle loro parole.
  3. La famiglia, poiché ha il dovere di educare i suoi membri, è titolare di specifici diritti. La stessa Dichiarazione universale dei diritti umani, che costituisce un’acquisizione di civiltà giuridica di valore veramente universale, afferma che « la famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato »(7). Da parte sua, la Santa Sede ha voluto riconoscere una speciale dignità giuridica alla famiglia pubblicando la Carta dei diritti della famiglia. Nel Preambolo si legge: « I diritti della persona, anche se espressi come diritti dell’individuo, hanno una fondamentale dimensione sociale, che trova nella famiglia la sua nativa e vitale espressione »(8). I diritti enunciati nella Carta sono espressione ed esplicitazione della legge naturale, iscritta nel cuore dell’essere umano e a lui manifestata dalla ragione. La negazione o anche la restrizione dei diritti della famiglia, oscurando la verità sull’uomo, minaccia gli stessi fondamenti della pace.
  4. Pertanto, chi anche inconsapevolmente osteggia l’istituto familiare rende fragile la pace nell’intera comunità, nazionale e internazionale, perché indebolisce quella che, di fatto, è la principale « agenzia » di pace. È questo un punto meritevole di speciale riflessione: tutto ciò che contribuisce a indebolire la famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e una donna, ciò che direttamente o indirettamente ne frena la disponibilità all’accoglienza responsabile di una nuova vita, ciò che ne ostacola il diritto ad essere la prima responsabile dell’educazione dei figli, costituisce un oggettivo impedimento sulla via della pace. La famiglia ha bisogno della casa, del lavoro o del giusto riconoscimento dell’attività domestica dei genitori, della scuola per i figli, dell’assistenza sanitaria di base per tutti. Quando la società e la politica non si impegnano ad aiutare la famiglia in questi campi, si privano di un’essenziale risorsa a servizio della pace. In particolare, i mezzi della comunicazione sociale, per le potenzialità educative di cui dispongono, hanno una speciale responsabilità nel promuovere il rispetto per la famiglia, nell’illustrarne le attese e i diritti, nel metterne in evidenza la bellezza.

L’umanità è una grande famiglia

  1. Anche la comunità sociale, per vivere in pace, è chiamata a ispirarsi ai valori su cui si regge la comunità familiare. Questo vale per le comunità locali come per quelle nazionali; vale anzi per la stessa comunità dei popoli, per la famiglia umana che vive in quella casa comune che è la terra. In questa prospettiva, però, non si può dimenticare che la famiglia nasce dal « sì » responsabile e definitivo di un uomo e di una donna e vive del « sì » consapevole dei figli che vengono via via a farne parte. La comunità familiare per prosperare ha bisogno del consenso generoso di tutti i suoi membri. È necessario che questa consapevolezza diventi convinzione condivisa anche di quanti sono chiamati a formare la comune famiglia umana. Occorre saper dire il proprio « sì » a questa vocazione che Dio ha inscritto nella stessa nostra natura. Non viviamo gli uni accanto agli altri per caso; stiamo tutti percorrendo uno stesso cammino come uomini e quindi come fratelli e sorelle. È perciò essenziale che ciascuno si impegni a vivere la propria vita in atteggiamento di responsabilità davanti a Dio, riconoscendo in Lui la sorgente originaria della propria, come dell’altrui, esistenza. È risalendo a questo supremo Principio che può essere percepito il valore incondizionato di ogni essere umano, e possono essere poste così le premesse per l’edificazione di un’umanità pacificata. Senza questo Fondamento trascendente, la società è solo un’aggregazione di vicini, non una comunità di fratelli e sorelle, chiamati a formare una grande famiglia.

Famiglia, comunità umana e ambiente

  1. La famiglia ha bisogno di una casa, di un ambiente a sua misura in cui intessere le proprie relazioni. Per la famiglia umana questa casa è la terra, l’ambiente che Dio Creatore ci ha dato perché lo abitassimo con creatività e responsabilità. Dobbiamo avere cura dell’ambiente: esso è stato affidato all’uomo, perché lo custodisca e lo coltivi con libertà responsabile, avendo sempre come criterio orientatore il bene di tutti. L’essere umano, ovviamente, ha un primato di valore su tutto il creato. Rispettare l’ambiente non vuol dire considerare la natura materiale o animale più importante dell’uomo. Vuol dire piuttosto non considerarla egoisticamente a completa disposizione dei propri interessi, perché anche le future generazioni hanno il diritto di trarre beneficio dalla creazione, esprimendo in essa la stessa libertà responsabile che rivendichiamo per noi. Né vanno dimenticati i poveri, esclusi in molti casi dalla destinazione universale dei beni del creato. Oggi l’umanità teme per il futuro equilibrio ecologico. È bene che le valutazioni a questo riguardo si facciano con prudenza, nel dialogo tra esperti e saggi, senza accelerazioni ideologiche verso conclusioni affrettate e soprattutto concertando insieme un modello di sviluppo sostenibile, che garantisca il benessere di tutti nel rispetto degli equilibri ecologici. Se la tutela dell’ambiente comporta dei costi, questi devono essere distribuiti con giustizia, tenendo conto delle diversità di sviluppo dei vari Paesi e della solidarietà con le future generazioni. Prudenza non significa non assumersi le proprie responsabilità e rimandare le decisioni; significa piuttosto assumere l’impegno di decidere assieme e dopo aver ponderato responsabilmente la strada da percorrere, con l’obiettivo di rafforzare quell’alleanza tra essere umano e ambiente, che deve essere specchio dell’amore creatore di Dio, dal quale proveniamo e verso il quale siamo in cammino.
  2. Fondamentale, a questo riguardo, è « sentire » la terra come « nostra casa comune » e scegliere, per una sua gestione a servizio di tutti, la strada del dialogo piuttosto che delle decisioni unilaterali. Si possono aumentare, se necessario, i luoghi istituzionali a livello internazionale, per affrontare insieme il governo di questa nostra « casa »; ciò che più conta, tuttavia, è far maturare nelle coscienze la convinzione della necessità di collaborare responsabilmente. I problemi che si presentano all’orizzonte sono complessi e i tempi stringono. Per far fronte in modo efficace alla situazione, bisogna agire concordi. Un ambito nel quale sarebbe, in particolare, necessario intensificare il dialogo tra le Nazioni è quello della gestione delle risorse energetiche del pianeta. Una duplice urgenza, a questo riguardo, si pone ai Paesi tecnologicamente avanzati: occorre rivedere, da una parte, gli elevati standard di consumo dovuti all’attuale modello di sviluppo, e provvedere, dall’altra, ad adeguati investimenti per la differenziazione delle fonti di energia e per il miglioramento del suo utilizzo. I Paesi emergenti hanno fame di energia, ma talvolta questa fame viene saziata ai danni dei Paesi poveri i quali, per l’insufficienza delle loro infrastrutture, anche tecnologiche, sono costretti a svendere le risorse energetiche in loro possesso. A volte, la loro stessa libertà politica viene messa in discussione con forme di protettorato o comunque di condizionamento, che appaiono chiaramente umilianti.

Famiglia, comunità umana ed economia

  1. Condizione essenziale per la pace nelle singole famiglie è che esse poggino sul solido fondamento di valori spirituali ed etici condivisi. Occorre però aggiungere che la famiglia fa un’autentica esperienza di pace quando a nessuno manca il necessario, e il patrimonio familiare — frutto del lavoro di alcuni, del risparmio di altri e della attiva collaborazione di tutti — è bene gestito nella solidarietà, senza eccessi e senza sprechi. Per la pace familiare è dunque necessaria, da una parte, l’apertura ad un patrimonio trascendente di valori, ma al tempo stesso non è priva di importanza, dall’altra, la saggia gestione sia dei beni materiali che delle relazioni tra le persone. Il venir meno di questa componente ha come conseguenza l’incrinarsi della fiducia reciproca a motivo delle incerte prospettive che minacciano il futuro del nucleo familiare.
  2. Un discorso simile va fatto per quell’altra grande famiglia che è l’umanità nel suo insieme. Anche la famiglia umana, oggi ulteriormente unificata dal fenomeno della globalizzazione, ha bisogno, oltre che di un fondamento di valori condivisi, di un’economia che risponda veramente alle esigenze di un bene comune a dimensioni planetarie. Il riferimento alla famiglia naturale si rivela, anche da questo punto di vista, singolarmente suggestivo. Occorre promuovere corrette e sincere relazioni tra i singoli esseri umani e tra i popoli, che permettano a tutti di collaborare su un piano di parità e di giustizia. Al tempo stesso, ci si deve adoperare per una saggia utilizzazione delle risorse e per un’equa distribuzione della ricchezza. In particolare, gli aiuti dati ai Paesi poveri devono rispondere a criteri di sana logica economica, evitando sprechi che risultino in definitiva funzionali soprattutto al mantenimento di costosi apparati burocratici. Occorre anche tenere in debito conto l’esigenza morale di far sì che l’organizzazione economica non risponda solo alle crude leggi del guadagno immediato, che possono risultare disumane.

Famiglia, comunità umana e legge morale

  1. Una famiglia vive in pace se tutti i suoi componenti si assoggettano ad una norma comune: è questa ad impedire l’individualismo egoistico e a legare insieme i singoli, favorendone la coesistenza armoniosa e l’operosità finalizzata. Il criterio, in sé ovvio, vale anche per le comunità più ampie: da quelle locali, a quelle nazionali, fino alla stessa comunità internazionale. Per avere la pace c’è bisogno di una legge comune, che aiuti la libertà ad essere veramente se stessa, anziché cieco arbitrio, e che protegga il debole dal sopruso del più forte. Nella famiglia dei popoli si verificano molti comportamenti arbitrari, sia all’interno dei singoli Stati sia nelle relazioni degli Stati tra loro. Non mancano poi tante situazioni in cui il debole deve piegare la testa davanti non alle esigenze della giustizia, ma alla nuda forza di chi ha più mezzi di lui. Occorre ribadirlo: la forza va sempre disciplinata dalla legge e ciò deve avvenire anche nei rapporti tra Stati sovrani.
  2. Sulla natura e la funzione della legge la Chiesa si è pronunciata molte volte: la norma giuridica che regola i rapporti delle persone tra loro, disciplinando i comportamenti esterni e prevedendo anche sanzioni per i trasgressori, ha come criterio la norma morale basata sulla natura delle cose. La ragione umana, peraltro, è capace di discernerla, almeno nelle sue esigenze fondamentali, risalendo così alla Ragione creatrice di Dio che sta all’origine di tutte le cose. Questa norma morale deve regolare le scelte delle coscienze e guidare tutti i comportamenti degli esseri umani. Esistono norme giuridiche per i rapporti tra le Nazioni che formano la famiglia umana? E se esistono, sono esse operanti? La risposta è: sì, le norme esistono, ma per far sì che siano davvero operanti bisogna risalire alla norma morale naturale come base della norma giuridica, altrimenti questa resta in balia di fragili e provvisori consensi.
  3. La conoscenza della norma morale naturale non è preclusa all’uomo che rientra in se stesso e, ponendosi di fronte al proprio destino, si interroga circa la logica interna delle più profonde inclinazioni presenti nel suo essere. Pur con perplessità e incertezze, egli può giungere a scoprire, almeno nelle sue linee essenziali, questa legge morale comune che, al di là delle differenze culturali, permette agli esseri umani di capirsi tra loro circa gli aspetti più importanti del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto. È indispensabile risalire a questa legge fondamentale impegnando in questa ricerca le nostre migliori energie intellettuali, senza lasciarci scoraggiare da equivoci e fraintendimenti. Di fatto, valori radicati nella legge naturale sono presenti, anche se in forma frammentata e non sempre coerente, negli accordi internazionali, nelle forme di autorità universalmente riconosciute, nei principi del diritto umanitario recepito nelle legislazioni dei singoli Stati o negli statuti degli Organismi internazionali. L’umanità non è « senza legge ». È tuttavia urgente proseguire nel dialogo su questi temi, favorendo il convergere anche delle legislazioni dei singoli Stati verso il riconoscimento dei diritti umani fondamentali. La crescita della cultura giuridica nel mondo dipende, tra l’altro, dall’impegno di sostanziare sempre le norme internazionali di contenuto profondamente umano, così da evitare il loro ridursi a procedure facilmente aggirabili per motivi egoistici o ideologici.

Superamento dei conflitti e disarmo

  1. L’umanità vive oggi, purtroppo, grandi divisioni e forti conflitti che gettano ombre cupe sul suo futuro. Vaste aree del pianeta sono coinvolte in tensioni crescenti, mentre il pericolo che si moltiplichino i Paesi detentori dell’arma nucleare suscita motivate apprensioni in ogni persona responsabile. Sono ancora in atto molte guerre civili nel Continente africano, sebbene in esso non pochi Paesi abbiano fatto progressi nella libertà e nella democrazia. Il Medio Oriente è tuttora teatro di conflitti e di attentati, che influenzano anche Nazioni e regioni limitrofe, rischiando di coinvolgerle nella spirale della violenza. Su un piano più generale, si deve registrare con rammarico l’aumento del numero di Stati coinvolti nella corsa agli armamenti: persino Nazioni in via di sviluppo destinano una quota importante del loro magro prodotto interno all’acquisto di armi. In questo funesto commercio le responsabilità sono molte: vi sono i Paesi del mondo industrialmente sviluppato che traggono lauti guadagni dalla vendita di armi e vi sono le oligarchie dominanti in tanti Paesi poveri che vogliono rafforzare la loro situazione mediante l’acquisto di armi sempre più sofisticate. È veramente necessaria in tempi tanto difficili la mobilitazione di tutte le persone di buona volontà per trovare concreti accordi in vista di un’efficace smilitarizzazione, soprattutto nel campo delle armi nucleari. In questa fase in cui il processo di non proliferazione nucleare sta segnando il passo, sento il dovere di esortare le Autorità a riprendere con più ferma determinazione le trattative in vista dello smantellamento progressivo e concordato delle armi nucleari esistenti. Nel rinnovare questo appello, so di farmi eco dell’auspicio condiviso da quanti hanno a cuore il futuro dell’umanità.
  2. Sessant’anni or sono l’Organizzazione delle Nazioni Unite rendeva pubblica in modo solenne la Dichiarazione universale dei diritti umani (1948–2008). Con quel documento la famiglia umana reagiva agli orrori della Seconda Guerra Mondiale, riconoscendo la propria unità basata sulla pari dignità di tutti gli uomini e ponendo al centro della convivenza umana il rispetto dei diritti fondamentali dei singoli e dei popoli: fu quello un passo decisivo nel difficile e impegnativo cammino verso la concordia e la pace. Uno speciale pensiero merita anche la ricorrenza del 25o anniversario dell’adozione da parte della Santa Sede della Carta dei diritti della famiglia (1983–2008), come pure il 40o anniversario della celebrazione della prima Giornata Mondiale della Pace (1968–2008). Frutto di una provvidenziale intuizione di Papa Paolo VI, ripresa con grande convinzione dal mio amato e venerato predecessore, Papa Giovanni Paolo II, la celebrazione di questa Giornata ha offerto nel corso degli anni la possibilità di sviluppare, attraverso i Messaggi pubblicati per la circostanza, un’illuminante dottrina da parte della Chiesa a favore di questo fondamentale bene umano. È proprio alla luce di queste significative ricorrenze che invito ogni uomo e ogni donna a prendere più lucida consapevolezza della comune appartenenza all’unica famiglia umana e ad impegnarsi perché la convivenza sulla terra rispecchi sempre di più questa convinzione da cui dipende l’instaurazione di una pace vera e duratura. Invito poi i credenti ad implorare da Dio senza stancarsi il grande dono della pace. I cristiani, per parte loro, sanno di potersi affidare all’intercessione di Colei che, essendo Madre del Figlio di Dio fattosi carne per la salvezza dell’intera umanità, è Madre comune.

A tutti l’augurio di un lieto Anno nuovo!

Dal Vaticano, 8 Dicembre 2007

BENEDICTUS PP. XVI

GIORGIO LA PIRA

Giorgio La Pira il sindaco di Firenze potrebbe presto essere proclamato santo. Noi lo ricordiamo particolarmente perché a suo tempo iniziò alla grande una attività di promozione della pace.

ROMA, lunedì, 5 novembre 2007 (http://www.zenit.org/ – ZENIT.org).- “La causa di canonizzazione di Giorgio La Pira cammina speditamente.” afferma il Cardinale José Saraiva Martins, C.F.M., Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi in una intervista concessa al quotidiano della Santa Sede, “L’Osservatore Romano” in occasione dei trent’anni dalla morte di Giorgio La Pira (1904-1977) e per la benedizione della sua nuova tomba.

La salma del “sindaco santo” di Firenze è infatti stata traslata dal cimitero periferico di Rifredi, dove nel 1977 fu sepolto, all’interno della basilica, dove abitava condividendo la preghiera, da terziario domenicano, con i frati.

“Ho conosciuto La Pira quando ero seminarista qui a Roma. Rimasi subito affascinato. E l’ho sempre seguito. La mia ammirazione per lui è sempre più grande. Per me è uno dei modelli più alti di santità laicale”, ha dichiarato.

“Il mondo, la Chiesa ha bisogno di santi come La Pira. Penso al suo coraggio, alla sua speranza, al suo essere cristiano senza paura di professare la propria fede in ogni situazione”.

Il porporato ha quindi lodato “la sua testimonianza di povertà”, “il suo distacco dal danaro, il suo passare per le strade di Firenze con la gioia di chi è davvero povero tra i poveri”.

“Per questo la sua testimonianza profetica non è superata; è ancorata a Cristo”.Il suo vero carisma, era “la capacità di essere testimone della speranza cristiana, dovunque, nella Chiesa, nella vita pubblica, nel mondo”.

Giorgio La Pira nasce a Pozzallo (Ragusa) il 9 gennaio 1904 da un’umile famiglia. Laureatosi in Giurisprudenza si trasferisce a Firenze, dove nel 1934 ottiene la cattedra di Diritto romano e dà vita alla Messa di San Procolo per l’assistenza spirituale e materiale dei poveri, così chiamata dalla chiesa abbandonata che la ospitò inizialmente.

Icontrerà Cristo all’età di vent’anni e nel 1924 vive “la prima santa Pasqua”. Tra il 1929 ed il 1939 svolge un’intensa attività da studioso che lo mette in contatto con l’Università Cattolica di Milano. Si dedica appieno all’Azione Cattolica giovanile e alla pubblicistica cattolica, scrivendo in numerose riviste, tra cui il famoso Frontespizio.

Nel 1939 fonda e dirige la rivista Principi nella quale – in pieno regime fascista, che ne vieterà presto la pubblicazione – pone le premesse cristiane per un’autentica democrazia.

Arriva poi il 1943, anno di nascita del foglio clandestino San Marco, mentre la polizia segreta fa di tutto per arrestarlo. Raggiunta Roma, nell’anno successivo tiene all’Ateneo Lateranense – su iniziativa dell’Istituto Cattolico Attività Sociali – un corso di lezioni pubblicate sotto il titolo Le premesse della politica.

Sindaco di Firenze dal 1951 al 1958 e poi nuovamente dal 1961 al 1965 lasciò una traccia indelebile nella coscienza e nel volto di questa città attraverso le numerose realizzazioni amministrative e le straordinarie iniziative di carattere politico e sociale. Moltissime le opere di ricostruzioni da lui promosse nella periferia, e costante il suo impegno a difesa dei lavoratori e a sostengo dei poveri.

Giocò un ruolo importante nella elaborazione della Carta Costituzionale sostenendo il valore immanente della persona emana e l’inviolabilità dei suoi diritti fondamentali; lottando anche per l’inserimento del diritto al lavoro come elemento inalienabile della dignità dell’uomo.

Il 6 gennaio 1951, in ginocchio davanti all’altare di San Flippo Neri nella Chiesa Nuova a Roma, La Pira capisce che la sua nuova vocazione è quella di dedicarsi interamente alla pace.

In una lettera inedita del 16 aprile 1974, resa nota da “L’Osservatore Romano” (4 novembre 2007) scriverà che la pace è legata alla pace della famiglia di Abramo e al destino politico, storico e geografico dei popoli che vivono in Terra Santa.

Nel recarsi nel 1959 in URSS, La Pira, davanti al Soviet Supremo al Cremlino, affrontò oltre alla questione del disarmo anche il tema della libertà religiosa come elemento essenziale di un processo completo di edificazione pacifica. Negli incontri tenuti con gli intellettuali più rappresentativi del paese, invece, esortò più volte a disfarsi dei rottami dell’ateismo di Stato.

Emblematici i “Convegni per la pace e la civiltà cristiana”, promossi da La Pira a Firenze dal 1952 al 1956, allo scopo di favorire l’amicizia tra cristiani, ebrei e musulmani.

La Pira lavorò sempre al servizio del bene comune, sottraendosi ai condizionamenti del potere ed alla ricerca del prestigio o dell’interesse personale. Alimentò sempre l’impegno civile e politico con la preghiera, in una continua tensione tra contemplazione e azione.

Nutriva una profonda devozione per la Santissima Trinità e in merito all’importanza dell’Eucaristia affermava: “Il cristianesimo è tutto nell’Eucaristia […]. Così si edifica il corpo di Cristo, il popolo cristiano, la città di Dio e, sul suo modello, la città umana […]. L’Eucaristia organizza il popolo del Signore, edifica le città, i popoli, le nazioni e la civiltà”.