APPUNTI DI ECOLOGIA
Fr. GianMaria Polidoro
APPUNTI DI ECOLOGIA
Ecologia è termine greco e significa dottrina della casa o scienza della casa. Di quella casa che è il mondo.
L’ecologia io preferisco chiamarla Pace con il creato per quella unità di visione del mondo che mi fa porre la pace come fondamento di ogni relazione creaturale sia dell’uomo con Dio, come dell’uomo con l’uomo e, come ancora, dell’uomo con le altre creature animate ed inanimate e di queste fra loro.
Il sapere ecologico viene sviluppato da uomini per gli uomini, esso deve trattare soprattutto del corretto abitare dell’uomo in questa casa dove Dio lo ha posto e che è il mondo. Per fare ciò abbiamo bisogno di regole ed io penso che noi possiamo trarre regole opportune da una sia pur semplice riflessione sulla prima pagina della Bibbia che riguarda la creazione.
La regola data da Dio per il rapporto uomo/creazione è inclusa nei verbi soggiogatela (la terra) e abbiate dominio (sugli esseri viventi) (Gen. 1,28).
Comunque l’intero discorso è chiarificato e precisato nel successivo capitolo:
“Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gen 2,15).
Coltivare o altro termine equivalente che si volesse usare, vuol dire portare la terra ad una situazione corrispondente ad un disegno: ad esempio quello di produrre il cibo necessario.
Custodire invece vuol dire non distruggere e non perdere quanto è dono del Signore.
La saggezza dell’agire fra l’esigenza del coltivare e l’esigenza del custodire porta a quell’equilibrio da noi desiderato e che chiamiamo equilibrio ambientale.
Dunque sono da lasciar da parte quelle forme di emotività non agganciate al pensiero solido ed a regole che l’uomo può trovare.
Tommaso da Celano, noto biografo di san Francesco, parlando dell’amore di Francesco per la creazione, ci traccia un profilo di sensibilità che coglie aspetti e delicatezze e serietà difficilmente immaginabili.
“Quando i frati tagliano legna, proibisce loro di recidere completamente l’albero, perché possa gettare nuovi germogli. E ordina che l’ortolano lasci incolti i confini attorno all’orto, affinché a suo tempo il verde delle erbe e lo splendore dei fiori cantino quanto è bello il Padre di tutto il creato. Vuole pure che nell’orto un’aiuola sia riservata alle erbe odorose e che producono fiori, perché richiamino a chi li osserva il ricordo della soavità eterna” (2Cel 165,11 in Fontes Franciscani).
L’orto dunque diviso in tre parti: una per le necessità dei frati, una per le erbe odorose e la bellezza dei fiori, ed una perché la natura selvatica possa avere il proprio spazio. Come dire: coltivare e custodire.
Solo se ci poniamo nella logica del coltivare e del custodire possiamo compiere interventi modificativi dell’ambiente con un minimo di credibile rispetto.
Una saggia ecologia può dunque apprendere una buona lezione dalla visione religiosa della creazione e dalla interpretazione che ne ha data Francesco.
Ricordo che la visione religiosa non è una utopia, ma uno strumento di conoscenza.
Il senso dì appartenenza
L’attenzione cristiana alla realtà della creazione porta a non considerare schiavi gli esseri creati. Essi mi appartengono come mi appartengono mia sorella e mio fratello e mia madre: un modo nuovo, anzi antico, di rapportarsi con il creato. Ed anche modo nuovo di fare ecologia e pace. Questa attenzione ben si compagina con la visione paolina della redenzione operata da Cristo che coinvolge l’uomo e, con lui, l’intero creato (cfr. Col 1,20). Una creazione che “attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio… e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio” (Rom 8,20-21). Parole che possono essere comprese solo se si vive il senso del mistero. Il Mysterium, ché, detto in latino, mi sembra diventi termine maggiormente pieno di suggestione.
Quando io uso il termine mistero o misterioso, lo uso nel senso non tanto dell’absconditum, il nascosto incomprensibile, quanto nel senso di guardar le cose con l’occhio di Dio, con la “Sapienza che conosce le tue opere (o Signore), che era presente quando creavi il mondo” (Sap 9,9) come il citato Libro della Sapienza dice rivolgendosi a Dio nella preghiera di Salomone.
Ecco, se noi guardiamo le cose create dal punto di vista di Dio (mi si perdoni la presunzione), allora queste cose create fanno armonia e non ha più senso un discorso ecologico od utilitaristico poiché l’uomo si rivolge alle cose domandandosene il significato profondo. A proposito ricordo che è meravigliosa la suggestione del libro della Genesi in cui si racconta come l’uomo impone il nome a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche ( cfr. Gen 2,19 20). Imporre il nome, nel linguaggio biblico, significa conoscerne la realtà e pertanto l’uomo che è in sintonia con Dio non teme di fallire nel suo servizio terreno.
All’interno dell’ottimismo
Dopo aver inquadrato il tema dell’ambiente in una cornice tutta al positivo, potrei dare l’impressione di non rendermi conto dei grandi problemi che si aprono all’interno dell’ottimismo cristiano. Questi problemi e drammi possono portare a considerare la lettura cristiana della creazione come vanamente idilliaca, ma possono portare l’uomo anche a sentirsi padrone assoluto ed insindacabile dell’ambiente e delle creature al di sotto di lui.
Quando si parla della bontà della creazione, non si vuole nascondere una realtà sconvolgente: quella di una violenza che sembra strutturalmente legata alla creazione. Dal terremoto che distrugge intere città e seppellisce migliaia di uomini, alla predazione del topolino di campagna preso dal falco o dal serpente, c’è tutta una realtà che sembra contraddire la bontà di Dio. Non è la prima volta che ci troviamo di fronte alla disperazione di chi non riesce a coniugare la paternità amorevole di Dio con la sofferenza atroce del bambino che muore vittima di leucemia.
Come rispondere? Come rasserenarsi?
A sentire le interpretazioni bibliche degli studiosi, san Paolo ci apre uno spiraglio alla comprensione della violenza nel creato quando scrive: “io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi. La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio” (Rom 8,18 21).
Che è come dire che il mondo materiale ed animale, creati per l’uomo, partecipano al destino di punizione e redenzione dell’uomo. Anche essi maledetti a causa del peccato, ora sono in attesa, insieme all’uomo, di ricevere ogni giorno di più la pienezza della redenzione. L’uomo e la creazione vivono la propria esistenza come Pasqua, situazione di passaggio, come cammino verso un orizzonte preparato da Dio.
Paolo così prosegue: “Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo (Rom 8,22 23). A questo punto non parliamo più di violenza, ma parliamo di cammino redentivo, come di chi risale dalle tenebre verso la luce. Per rendersi conto di questo c’è bisogno di una comprensione che può essere fatta solo all’interno del misterioso agire di Dio. In esso il dolore non è gratuita tribolazione, ma sofferenza di parto, sforzo per qualcosa di nuovo che nasce.
Se della doglia del parto prendiamo solo un segmento, esso ci sembrerà frutto di cattiveria. Ma se quello stesso segmento di dolore lo vediamo all’interno del processo di nascita di una nuova creatura, allora esso acquista significato: quello stesso significato che la donna gli attribuisce quando, lieta anche se stanca, abbraccia la creatura che da lei è nata.
É violenza quel segmento di dolore? Nessuno ardirebbe affermarlo.
Con l’illuminazione di questo esempio ho invitato tutti ad intuire (poiché abbiamo a che fare con una conoscenza per intuizione) come possano essere letti il dolore e la violenza nella natura di cui il cristianesimo ha visione positiva.
Anche il mistero del cibo rientra in questo ambito.
Come valutare l’ambiente
Gli antichi ebrei, come ci fa fede la Bibbia, sapevano che il rapporto con la creazione era rapporto delicato. La natura aveva bisogno di rispetto. E di riposo. Come per l’uomo le si addiceva un sabato di riposo per mantenere la propria identità. Per questo era stabilito nella Legge che vi fosse un anno sabbatico anche per la terra. Questa legislazione è la prima e unica legislazione ecologica della storia antica: il Signore disse ancora a Mosé sul monte Sinai: Parla agli Israeliti e riferisci loro: Quando entrerete nel paese che io vi do, la terra dovrà avere il suo sabato consacrato al Signore. Per sei anni seminerai il tuo campo e poterai la tua vigna e ne raccoglierai i frutti; ma il settimo anno sarà come sabato, un riposo assoluto per la terra, un sabato in onore del Signore; non seminerai il tuo campo e non poterai la tua vigna. Non mieterai quello che nascerà spontaneamente dal seme caduto nella tua mietitura precedente e non vendemmierai l’uva della vigna che non avrai potata; sarà un anno di completo riposo per la terra. Ciò che la terra produrrà durante il suo riposo servirà di nutrimento a te, al tuo schiavo, alla tua schiava, al tuo bracciante e al forestiero che è presso di te; anche al tuo bestiame e agli animali che sono nel tuo paese servirà di nutrimento quanto essa produrrà” (Lev 25, 1-7).
La motivazione del riposo della terra era certamente per non impoverirla, ma aveva una connotazione di rispetto per una terra considerata proprietà di Dio.
Certamente c’è da preferire chi salvaguarda la terra (e ci mancherebbe che non fosse così!) a chi invece la sfrutta in senso negativo; ma a loro ricordo che non si va lontano difendendo la natura per calcolo, cioè per non restar privi di tante cose belle e necessarie. Ricordo che per salvare la terra abbiamo necessità di scoprire la motivazione vera su cui fondare l’azione ambientalista; e questa ragione vera possiamo trovarla solo se ci facciamo interrogare dalla creazione stessa: perché c’è il sole? e le messi? e le acque? e il cervo? e il leone? E cosa sono il sole e le messi e le acque e il cervo ed il leone?
Ogni cosa ha un suo significato
Siamo abituati ad usare le realtà create perché ci servono; ma non abbiamo familiarità alla riflessione su quel che facciamo.
L’uomo sapiente, invece, sa stabilire il rapporto con gli altri e con le cose; scopre il significato della realtà che lo circonda e sa quantificare il proprio potere in questo mondo.
Francesco d’Assisi, che abbiamo preso come modello di comportamento, ci insegna molto a riguardo. Egli ci sollecita alla riflessione per quanto riguarda il nostro rapporto con la natura. Ricordate il Cantico di Frate Sole? Ovunque Francesco cerca significato e rappresentazione di Dio senza che ciò sia solo bella letteratura o fantasia deteriore.
Nella valutazione di Francesco non vediamo una natura piegata all’efficienza o schiava del soddisfacimento dei desideri umani più o meno confessabili, ma una natura che ha una sua significanza datale dal progetto di Dio realizzato nella creazione e che noi siamo chiamati ad ammirare, rispettare ed utilizzare. Desidero qui ricordare come il Santo voleva l’orto dei frati.
Il creato non è una realtà schiava della supremazia intellettuale dell’uomo, ma è prima un luogo (la terra) e poi realtà correlate all’uomo; realtà che hanno la dignità di essere oggetto della creazione di Dio.
GP